Dal televisore all’IA: la percezione del progresso tecnologico attraverso le generazioni

Giu 4, 2025

di Marco Guiducci

Siamo passati dal televisore all’IA, in 70 anni circa e ogni volta abbiamo parlato di rivoluzione. In questo periodo storico, poi, è sempre più importante per le aziende intraprendere progetti di digitalizzazione. Questo non riguarda solo le aziende che di digitale hanno poco o nulla, ma anche e soprattutto quelle aziende che devono rinnovarsi per quanto riguarda processi e tecnologie in uso. Ed è per questo che spesso parliamo di trasformazione digitale.

Nell’affrontare quotidianamente questa tipologia di progetti – prima di far comprendere ai nostri clienti il valore degli specifici applicativi che gli proponiamo per venire incontro alle loro esigenze – la sfida più grande è quella di far comprendere proprio il valore della trasformazione digitale, il che significa dover spiegare il perché piuttosto che il come.

Poiché questo è un fatto che non dipende dalla tecnologia specifica che si va a proporre, ma che è diffuso in modo trasversale, c’è da chiedersi: da dove arriva questa resistenza estrema al cambiamento? Come possiamo agire per superare questo scoglio?

In questo articolo proverò a fare questo esercizio con voi, cercando di dimostrare come i motivi che si celano dietro a questo malessere digitale siano più legati ad una questione di percezione, piuttosto che di complessità delle soluzioni tecnologiche.

Per farlo, poiché anch’io (nonostante abbia passato da poco i 30 anni) purtroppo mi ritrovo già a parlare di “nuove generazioni”, inizierò con una panoramica relativa alle rivoluzioni tecnologiche degli ultimi anni e di come siano state assorbite dalle diverse generazioni.

La percezione del progresso tecnologico attraverso le generazioni

Per comprendere veramente i motivi che si celano dietro all’istinto primordiale della resistenza al cambiamento quando si parla di trasformazione digitale, vorrei fare una riflessione su come viene percepito il progresso tecnologico attraverso le generazioni, per dimostrare (o almeno, per provarci) che il motivo non è da imputare né alla tecnologia stessa, né alle competenze individuali.

Ora, non voglio partire dall’epoca delle prime rivoluzioni industriali, anche perché per parlare di tematiche etiche come le macchine ci ruberanno il lavoro ci vorrebbe un articolo a parte, ma vorrei concentrarmi su alcune delle introduzioni tecnologiche che sono state comunque rivoluzionarie nell’ultimo secolo, e di come esse siano state metabolizzate da generazioni di utilizzatori.

Il televisore

La diffusione del televisore nelle case degli italiani, così come le prime trasmissioni regolari nate negli anni ‘50, è sicuramente uno dei simboli del boom economico del dopoguerra.

Già dai primi anni, anche a quel tempo sono nati modelli più o meno sofisticati, e già a quel tempo la discriminante per la diffusione di un modello piuttosto che di un altro era solo una questione economica, non di complessità di utilizzo.

Per la generazione dei miei nonni, che all’epoca avevano praticamente l’età che ho io adesso, l’avvento del televisore è stato si rivoluzionario, ma è avvenuto senza difficoltà.

Per chi come me è nato negli anni ‘90, ma anche per la generazione dei miei genitori, il televisore non è stata certo una rivoluzione, perché come si suol dire ci siamo nati, e l’abbiamo capita senza bisogno che ci fosse spiegata.

Ho approcciato questo discorso un po’ alla larga perché adesso voglio focalizzarmi su un dettaglio legato al televisore: il telecomando.

In più di 70 anni di storia, immaginate l’enorme numero di diversi modelli immessi nel mercato, e di come ciascuno sia nato con il suo specifico modello di telecomando.

Ecco, per quando dagli anni ‘90 ad oggi i televisori in casa siano stati via via più tecnologici, passando dall’analogico al digitale fino alle moderne smart tv, c’è una costante che ha accompagnato questo progresso: i miei nonni, non hanno mai avuto problemi ad adattarsi al nuovo telecomando.

Non importa se esso avesse 10 pulsanti piuttosto che 100. Mia nonna ha sempre capito, senza bisogno di spiegazioni, come accendere e spegnere la tv, come regolare il volume e come cambiare canale da RAI 1 al canale della TV locale. Gli altri 95 pulsanti? Non le servivano, le bastava riconoscere quelli che erano utili al suo scopo.

E invece, proprio il passaggio dalla TV analogica a quella digitale, una vera e propria trasformazione digitale appunto, fu vissuta in prima battuta con grande resistenza solo perché nei primi tempi era necessario accendere il decoder esterno con un telecomando a parte e perché la TV locale era passata dal canale 9 al canale 10, e le si era posto il problema di premere due tasti in sequenza.

Tutte queste sembrano banalità, e magari lo sono mi direte, ma se ci riflettiamo capiamo come la resistenza al cambiamento sia stata dettata di fatto da un piccolo, piccolissimo, cambiamento legato ad un’operazione che portava alla frase: “ma finora s’è sempre fatto così, perché ora bisogna cambiare?”

E credetemi che spiegare il perché fosse importante passare alle trasmissioni digitali per tutta una serie di motivi era sicuramente difficile come, se non di più, rispondere a domande come ma a cosa mi serve il PIM? e Perché devo cambiare ERP se quello custom che ho adesso mi funziona bene da 20 anni?

Cominciate a capire dove voglio arrivare?

Il personal computer

Il PC è stato sicuramente uno strumento che ha rivoluzionato il modo di vivere la tecnologia sia in ambito industriale che, in larga scala, anche all’interno delle mura di casa, ed il traino alla diffusione massiva del PC in quasi tutte le case è stato sicuramente la diffusione di internet.

Ricordo benissimo come il me bambino, vedendo gli spot in TV alla fine degli anni ‘90 si accorse subito di come, all’improvviso, all’interno degli annunci pubblicitari l’enfasi si spostava rapidamente dal prodotto in sé alla comunicazione di quale fosse il sito internet, che subito accendeva la curiosità di volerlo navigare subito perché l’obiettivo ambizioso era quello di guardarli tutti; fin da subito, mi accorsi che si trattava di un’impresa utopistica.

Per riallacciarmi al tema della diffusione dello strumento che ho fatto in precedenza per il televisore, per la generazione dei miei genitori l’avvento del PC ha coinciso con quello di una maturità ed elasticità mentale che gli ha consentito di percepirne la potenzialità, e dunque in casa avevamo già i primi computer con Windows ‘95 e successivamente Windows ‘98.

A ripensarci adesso però, non è che avere il PC in casa fosse una vera necessità, anche perché loro per il lavoro non lo utilizzavano e noi figli al massimo potevamo fare qualche ricerca per le scuole elementari con la mitica enciclopedia Omnia su CD o creare gli inviti per le feste di compleanno con Microsoft Publisher (non avevamo mica Canva, ai miei tempi…), ma quella lungimiranza è stata fondamentale per restare al passo con i tempi.

Paradossalmente, la diffidenza verso lo strumento è arrivato diversi anni dopo, quando dalle elementari siamo passati alle medie e poi alle superiori, periodo nel quale sono nate le diverse app di messaggistica e c’è stato il primo boom dei social network, e la rete internet è stata suo malgrado anche un medium per la proliferazione di attività illegali.

In pochissimi anni, dunque, per la stessa generazione di persone lo stesso strumento (da loro introdotto in casa) è diventato una potenziale fonte di rischio, nonostante nel frattempo lo avessero introdotto anche come strumento di lavoro quotidiano.

Ma a proposito di diffidenza, che dire della generazione che aveva vissuto l’introduzione del televisore? Ecco, per loro c’è stato il più totale rifiuto nell’accettare questa nuova rivoluzione, non perché fosse uno strumento facile o difficile da usare, ma perché per loro non aveva alcun tipo di utilità, e dunque non valeva la pena capirne il funzionamento.

Non solo, addirittura quando ho iniziato a lavorare qui per Sintra mia nonna faceva una fatica tremenda a comprendere il fatto che io per lavoro passassi le mie giornate davanti al computer (ma questa è un’altra storia, che vi ho raccontato in precedenza nell’articolo Pimcore spiegato a mia nonna: analogie creative per capire il PIM)

Questa riflessione però ci porta ad approfondire un altro concetto che precedentemente ho scritto che avrei saltato: fin dalle prime rivoluzioni tecnologiche in termini di lavoro agricolo e nelle fabbriche, si è diffuso il sentimento di paura legato al fatto che la tecnologia stessa avrebbe sostituito le persone nel mondo del lavoro.

E invece, proviamo a riflettere, quante professioni sono nate proprio grazie alla distribuzione del PC su larga scala? E quante altre ne hanno tratto beneficio?

Lascio a voi rispondere in merito.

Lo smartphone

Eccoci adesso ad introdurre un altro strumento che ha rivoluzionato la vita quotidiana di tutti noi: lo smartphone.

Da circa 15 anni i nostri cellulari sono diventati degli strumenti polifunzionali che, tra le altre cose, possono anche essere usati per telefonare.

Al di là delle battute, con l’avvento dello smartphone abbiamo sempre e costantemente a portata di mano la nostra agenda, le nostre foto, i social, la rubrica e app di ogni tipo da usare sia per lavoro che per svago.

Per me e per la mia generazione, l’avvento dello smartphone è coinciso con l’inizio dell’università, ovvero nel periodo di massima apertura mentale, ed è stato una vera rivoluzione.

Il vero traino alla diffusione massiva dello strumento, oltre come detto prima al fatto che nello spazio di un palmo della mano sono racchiuse una marea di funzionalità, è stato però senza dubbio il fatto che l’utilizzo di questi strumenti nel tempo è diventato sempre più facile ed intuitivo.

Ma, nonostante questo, per le generazioni precedenti il passaggio allo smartphone è stato rimandato il più a lungo possibile. Perché? Sempre per i soliti motivi.

Prendo come esempio mia mamma: per anni ed anni non ha voluto saperne niente di questi affari che vanno strusciati con le dita, perché a lei il telefono serviva per telefonare o – se vogliamo proprio esagerare – per mandare qualche sms, e perché a detta sua lei non sarebbe stata capace di usarli. Ovviamente senza averci mai provato.

Il Natale 2020, dato che il suo vecchio cellulare stava insieme solo con un giro di scotch (e neanche tanto bene) l’abbiamo costretta ad un salto nella modernità. Risultato? Dopo due settimane mandava già messaggi vocali ed è diventata esperta di ricette su Youtube, ed il tutto è avvenuto con una semplicità disarmante.

Questa è una volta di più la dimostrazione che la resistenza al cambiamento non è una questione di complessità ad adattarsi allo strumento, ma che soprattutto è una questione legata alla paura del cambiamento stesso, di quella sensazione di “salto nel vuoto” che ci lascia paralizzati e ci costringe a rimandare.

Come ulteriore conferma, così come io sono nato con la TV e con il PC, mio figlio che ha 4 anni sa come aprire YouTube e far partire il video che vuole vedere senza che nessuno glielo abbia mai spiegato, e sicuramente più velocemente di come farebbe sua nonna.

L’intelligenza artificiale

Quella che vado ad introdurre adesso non è, a differenza delle precedenti, una rivoluzione tecnologia basata sull’introduzione di un nuovo device, ma piuttosto su una serie di strumenti software che sta rivoluzionando la vita di molti di noi sotto tanti aspetti.

Ora, benché all’inizio sembrasse un gioco, o forse l’hype del momento che ha costretto tutti gli addetti ai lavori a dare la propria opinione in merito (con il rischio di voler a tutti i costi forzare l’utilizzo dell’IA anche nella macchinetta del caffè), col tempo si percepisce come un utilizzo mirato degli strumenti di intelligenza artificiale abbia la potenzialità di rivoluzionare il lavoro in diversi settori (pensiamo anche solo a quello sanitario).

Per non divagare su tutte le possibili applicazioni dell’IA, voglio però tornare sul tema della percezione di questa introduzione rivoluzionaria attraverso le generazioni.

E qui, diversamente a quanto fatto finora, mi tiro in ballo in prima persona; sì perché, lo ammetto, sono probabilmente fra i pochi che non ha ancora mai provato ad usare ChatGPT nemmeno una volta. Perché? In realtà non lo so nemmeno io, semplicemente non ne ho ancora avuto il bisogno.

Fortunatamente, ho comunque un’età che mi permette di comprenderne le sconfinate possibilità e di accettare ben volentieri questa rivoluzione, che giorno dopo giorno anche come Sintra stiamo introducendo sempre di più per migliorare l’esperienza di utilizzo nei progetti per i nostri clienti.

Allo stesso tempo, vedo come alcuni miei colleghi ed i ragazzi del mio team, che hanno qualche anno in meno, conoscono vita, morte e miracoli di tutti i vari tool di IA, e sono riusciti ad integrarli alla perfezione nella vita lavorativa di tutti i giorni senza far sì che la tecnologia si sostituisse a loro, ma piuttosto in modo che essa sia al loro servizio per migliorare la qualità del lavoro stesso.

Il rovescio della medaglia è però sempre lo stesso: chi comincia ad avere qualche anno in più, soprattutto se non è un addetto ai lavori, vive l’introduzione dell’intelligenza artificiale come qualcosa di non necessario, ancora una volta non per la complessità di utilizzo o l’impossibilità di accedere al servizio (entrambe le cose sono molto semplici) ma perché, semplicemente, non ne percepiscono il bisogno.

Conclusioni

In questo articolo, abbiamo fatto una panoramica su alcune delle principali rivoluzioni tecnologiche introdotte nel mondo nell’ultimo secolo, e di come la loro diffusione sia stata percepita in modo diverso dalle generazioni che le hanno affrontate.

Più volte abbiamo visto come il motivo principale della resistenza al cambiamento non è dettato dalla complessità dello strumento in sé, quando in realtà dalla paura di alterare il proprio equilibrio, di sperimentare qualcosa di nuovo e dunque di gettarsi in un certo senso nell’ignoto.

Pur avendo fatto esempi relativi a strumenti di uso quotidiano, possiamo notare come le stesse sensazioni e le stesse paure siano quelle che frenano le aziende nell’intraprendere progetti di trasformazione digitale, in quanto prevale spesso la paura di andare ad alterare l’equilibrio quotidiano che, seppur spesso pieno di inefficienze produttive, esiste e resiste da anni semplicemente perché si è sempre fatto così.

Il nostro lavoro di consulenti, prima ancora di essere bravi a vendere lo strumento che vada a rispondere a un’esigenza, dobbiamo essere bravi a far cogliere ai nostri clienti l’esigenza stessa, e soprattutto il fatto che il cambiamento debba essere visto non come una criticità ma come leva per la loro crescita futura.

Questo fa la vera differenza fra fornitore e partner tecnologico, perché gli strumenti che vendiamo sono di dominio pubblico e ben documentati, così come la lista dei fornitori che le servono, e dunque è fondamentale accreditarsi in primo luogo come guida che possa accompagnare la crescita dei nostri clienti che come distributori di tecnologia.

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